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Ritrovare l’orizzonte: per non smarrirsi

16-03-2022 10:29

Marco Gargiulo

News, Da Èbbene, Il Blog di Èbbene,

Ritrovare l’orizzonte: per non smarrirsi

L’orizzonte della prossimità può rappresentare il campo d’azione sul quale ciascun imprenditore sociale è chiamato a rimettere in gioco la propria professione

 

 

 

 

 

 

 

Sono già trascorse tre settimane da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina, mettendo in atto una brutale e omicida azione militare fondata sulla negazione dell’esistenza di un popolo, sul totale disconoscimento della libertà di autodeterminazione di un Paese e sulla soppressione di qualsiasi libertà (compresa quella di dissenso dei propri cittadini) e verità.

 

La centralità della persona - e la sua promozione in percorsi di inclusione - la libertà, l’autonomia e l’autoeducazione, il confronto e la partecipazione sono conquiste culturali, scientifiche e pedagogiche insopprimibili per le nostre società che non pensavamo, forse, di dover vedere nuovamente minate nel ventunesimo secolo.

 

Questi presupposti - che per un educatore e un cooperatore sociale rappresentano quel necessario e imprescindibile bagaglio etico, culturale e metodologico di cui non può fare a meno - per non restare meri principi, solo parzialmente radicati nella realtà (come stiamo vedendo in questi giorni), necessitano di una manutenzione costante entro un rinnovato orizzonte di senso che possa vedere protagoniste le comunità e le persone che in esse crescono, vivono, abitano, lavorano, si esprimono. Un orizzonte che si fonda sui pilastri della prossimità e dell’inclusione: senza l’uno non può esistere l’altro e viceversa.

 

Nonostante alcune grandi conquiste già ottenute, infatti, il cammino dell’inclusione è ancora lungo e non può dirsi (forse mai del tutto) compiuto: abbiamo osservato ad esempio, in un passato recentissimo che oggi tutti i politici sembrano aver dimenticato, come il fenomeno dell’istituzionalizzazione si sia rinnovato sotto le mentite spoglie dei Centri di Permanenza Temporanea per migranti, nuove frontiere dell’istituzione totale, figlie di una visione dell’immigrato come problema generale di ordine pubblico e di sicurezza al punto da ispirare una legislazione sugli stranieri dalla quale si evince che l'allargamento dei diritti di cittadinanza, l'obiettivo della massima inclusione sociale e la solidarietà sono fortemente messi in discussione. Bisogna credere e sperare che, aldilà dell’onda emotiva e mediatica del momento, questa guerra nel cuore dell’Europa possa finalmente ispirare nuove politiche anche nel nostro Paese!

 

Osserviamo come, ancora oggi, per tanti giovani disabili (e le loro famiglie) la fine della scuola rappresenti l’inizio di un baratro di solitudine sociale e di invisibilità mitigato, in molti casi, soltanto da una serie di “ambienti” contenitivi ed ergoterapici. A 30 anni dall’entrata in vigore della Legge 381/91 vediamo come oggi molte cooperative sociali di inserimento lavorativo, schiacciate dalle logiche del mercato, della concorrenza e delle gare al massimo ribasso, fatichino a garantire percorsi di inclusione significativi alle persone svantaggiate che in esse vi lavorano. Sono trascorsi 20 anni e poco più dalla promulgazione della Legge 328/2000, ma ancora esistono enormi disparità territoriali nelle prestazioni e nei servizi, aggravate dalla progressiva compressione della spesa sociale, trend che forse solo le risorse del PNRR potrebbero invertire. Le conseguenze sociali, lavorative ed economiche – oltre quelle sanitarie – della crisi determinatasi dalla comparsa improvvisa del virus Sars-CoV-2 (Coronavirus-2), hanno ampliato le fragilità e stanno producendo nuove e più ampie forme di esclusione.

 

Più si acuiscono i fenomeni sociali nella loro complessità e problematicità e più emerge, da tutte queste contraddizioni, un tema che riguarda il mandato delle professioni di aiuto, chiamate troppo spesso ad operare in una società individualista in cui prevale la “cultura dello scarto” e in cui si sente il bisogno di garantire sicurezza soprattutto con sistemi difensivi, fino all’uso della coercizione e dalla forza, più che attraverso un progetto complessivo teso all’inclusione della diversità.

 

Quale può essere, dunque, un rinnovato orizzonte verso cui gli educatori potranno, e dovranno, orientare la loro azione pedagogica per continuare a perseguire il fine stesso di ogni atto educativo, iscritto nella parola libertà?

 

L’orizzonte della prossimità può rappresentare il campo d’azione sul quale ciascun imprenditore sociale è chiamato a rimettere in gioco la propria professione interpellato dalle sfide del presente, coniugando in forme inedite il proprio sapere, saper essere e saper fare, attratto da un’appassionata ricerca di quel confine che lega – in un virtuoso processo di ibridazione – la dimensione formalizzata dei servizi di welfare in cui è spesso impegnato (e che trovano il loro significato nel rispondere a diritti codificati delle persone), con quei meccanismi e processi informali di attivazione comunitaria che, introducendo elementi di relazione e di riconoscimento della dignità e del valore delle persone, fanno sì che quel determinato diritto (su cui si fonda l’esistenza di quel preciso servizio), trovi risposte più ampie e di maggior qualità.

Si tratta, per alcuni, di tornare o, per altri, di continuare ad essere ciò per cui si è nati: aiutare le persone – e con esse, in una logica di empowerment, le comunità – ad aiutarsi da sé!